Nel novembre del 1892 venne a Roma per seguire il corso di LUIGI CREMONA, come studente di perfezionamento, un giovane non ancora ventiduenne, che si era laureato a Pisa l’anno precedente. Allievo di maestri quali il BETTI, il DINI, il BIANCHI, il VOLTERRA, quel giovane possedeva larghe vedute sulla nostra scienza, ma non aveva ancora fissato la meta delle sue ricerche. Desiderava familiarizzarsi col nuovo indirizzo di geometria algebrica che per iniziativa di CORRADO SEGRE si era cominciato a coltivare in Italia. Venne perciò da me a chiedere consigli. Stavo per suggerirgli la lettura di libri e memorie, ma mi accorsi subito che non sarebbe stata questa la via più conveniente. FEDERIGO ENRIQUES era un mediocre lettore. Nella pagina che aveva sotto gli occhi egli non vedeva ciò che era scritto, ma quel che la sua mente vi proiettava. Adottai quindi un altro metodo: la conversazione. Non già la conversazione davanti a un tavolo col foglio e la penna, ma la conversazione peripatetica.
Cominciarono allora quelle interminabili passeggiate per le vie di Roma, durante le quali la geometria algebrica fu il tema preferito dei nostri discorsi. Assimilate in breve tempo le conquiste della scuola italiana nel campo delle curve algebriche, l’ENRIQUES si accinse arditamente a trattare la geometria sopra una superficie algebrica. Egli mi teneva quotidianamente al corrente dei progressi delle sue ricerche, che io sottoponevo ad una critica severa. Non è esagerato affermare che in quelle conversazioni fu costruita la teoria delle superficie algebriche secondo l’indirizzo italiano.
Vi era, a dir vero, una Memoria fondamentale di MAX NOETHER sull’argomento, nella quale il geometra tedesco, con grande acume, aveva gettato le basi ed eretto qualche pilastro dell’edifizio. Ma era una Memoria oscura, dove alcune proprietà erano stabilite con dimostrazioni faticose che non gettavano luce sulla questione, altre erano intuite più che dimostrate. Al contrario l’edifizio di cui l’ENRIQUES tracciò in pochi mesi il disegno, ha i pregi dell’armonia e della spontaneità.
La Memoria che contiene i risultati sull’argomento fu compiuta nei pochi mesi di quell’anno scolastico. Cominciata in gennaio, nel giugno 1893 fu presentata all’Accademia delle Scienze di Torino e subito pubblicata.
Era naturale che un lavoro meditato e scritto rapidamente in un campo quasi inesplorato, dove l’ analogia con la teoria delle curve trae spesso in inganno, presentasse qualche imperfezione. L’ENRIQUES se ne accorse, e preparò una nuova esposizione dell’argomento, che apparve nel 1896 tra le Memorie della Società dei XL . Salvo lievi aggiunte fatte più tardi, la teoria generale delle superficie algebriche ha in quest’ultimo lavoro un aspetto che è rimasto ormai nella scienza.
Senza, entrare in particolari troppo tecnici, dirò che in quella Memoria si trovano studiate a fondo le proprietà dei sistemi lineari di curve algebriche sopra una superficie, e vien definita, mediante una relazione funzionale, una operazione con la quale si passa da un sistema lineare ad un altro, detto il sistema aggiunto. Quella relazione funzionale lascia subito apparire che il residuo di un sistema lineare rispetto al proprio aggiunto non dipende dal sistema da cui si parte. Il detto residuo ha carattere invariante di fronte alle trasformazioni birazionali della superficie in un’altra e vien chiamato sistema canonico.
Dall’esame di questo sistema e dalle relazioni tra un sistema lineare e il proprio aggiunto si ricavano vari caratteri invarianti per trasformazioni birazionali: i generi. Anche nel lavoro citato di NOETHER comparivano tre di questi caratteri, due dei quali si credeva a quel tempo dovessero coincidere salvo in un caso molto particolare. Risulta invece che le cose non stanno così e che i caratteri invarianti di una superficie sono più numerosi e tutti essenziali.
Stabiliti questi risultati fondamentali nelle due Memorie già citate, l’ENRIQUES può formulare un piano sistematico di ricerche che egli svolgerà poi fino agli ultimi anni. Il piano consiste nel caratterizzare le proprietà delle superficie in relazione ai valori dei generi, cominciando dalle superficie che hanno i generi più bassi. L’analogia porterebbe a pensare alla classificazione che fanno i naturalisti degli animali e delle piante, partendo dagli organismi più .semplici. Ma perchè l’analogia tornasse, bisognerebbe immaginare un naturalista che, chiuso nel suo studio, indagasse, dal punto di vista teorico, quali tipi di organismi siano compatibili con le leggi della morfologia e della fisiologia, e poi ricercasse quali tra questi si incontrino effettivamente in natura.
Le dette ricerche dell’ENRIQUES, contenute in una quindicina di lavori ed ora raccolte in buona parte in un volume (prima parte, seconda parte) pubblicato con la collaborazione del CAMPEDELLI, hanno condotto alla scoperta di un gran numero di superficie con proprietà singolari e impreviste.
A questo gruppo di lavori va pure aggiunta la fondamentale e voluminosa Memoria sulle superficie iperellittiche ( prima parte, seconda parte) con la quale ENRIQUES e SEVERI hanno concorso al premio BORDIN dell’Accademia delle Scienze di Parigi: il premio fu loro conferito nel 1907.
L’ENRIQUES ha inoltre compiuto molte altre importanti ricerche nella teoria generale delle superficie, delle quali solo qualcuna può essere qui nominata, per ragioni di brevità.
Di una tra esse conviene parlare per mettere in luce una delle doti più spiccate del suo ingegno, la dote della intuizione che più volte lo ha portato a stabilire un risultato molto prima di averne una dimostrazione soddisfacente. La intuizione interviene specialmente quando egli ricorre, come fa spesso, al principio di continuità, il quale conduce a trasportare le proprietà di un ente ad enti prossimi al primo e poi a tutti gli enti che stanno col primo in un medesimo sistema continuo.
Di questo metodo egli si è valso per stabilire una proprietà caratteristica delle superficie irregolari, cioè di quelle superficie nelle quali il genere geometrico differisce dal genere numerico. Ho accennato poc’anzi che all’epoca del NOETHER: verso il 1880, si riteneva che i due generi fossero uguali (o, come oggi si dice, la superficie fosse regolare), salvo nel caso delle superficie rigate. Ma più tardi in Italia e in Francia si scoprirono molti altri esempi di superficie irregolari. L’ENRIQUES osservò che sopra tutte queste superficie esistono sistemi continui di curve algebriche non contenuti in sistemi lineari, mentre lo stesso fatto non si presenta sulle superficie regolari, e fu condotto quindi a considerare l’esistenza di tali sistemi continui come proprietà caratteristica delle superficie irregolari, e ad assegnare la dimensione dei detti sistemi in relazione alla differenza tra i due generi sopra nominati. Non era però facile giustificare queste intuizioni. La ingegnosa e delicata dimostrazione che l’ENRIQUES diede nel 1904, fondandosi sul principio di continuità, fu accolta inizialmente senza riserve, e la proprietà fu assunta come base di altre importanti ricerche. Ma più tardi, nel 1921, il SEVERI si accorse che nella dimostrazione si insinuava una tacita ipotesi che aveva bisogno di esser giustificata. Nonostante però gli sforzi dell’ ENRIQUES, del SEVERI stesso e di altri, non oserei ancora affermare che quel dubbio sia stato chiarito. Eppure il teorema è vero, sia pure con qualche restrizione, e l’ha potuto stabilire nel 1910 ENRICO POINCARˆâ per via trascendente. Ciò non toglie interesse alla ricerca di una dimostrazione algebrica, che appare necessaria per la sistemazione armonica di tutta la teoria.
Un altro risultato fornito dall’ENRIQUES nel 1924 , che ha dato e dà luogo tuttora a importanti ricerche, riguarda il modo di caratterizzare la curva di diramazione dei piani multipli. Anche qui si presenta una differenza essenziale tra la teoria delle curve e quella delle superficie. Se una curva algebrica piana è segata in un certo numero n di punti variabili da una retta che ruota intorno ad un punto, la curva proiettata da questo punto sopra una retta dà luogo ad una retta n-upla, i cui punti di diramazione sono le tracce delle tangenti condotte dal punto alla curva. Inversamente, fissato ad arbitrio un certo gruppo di punti sopra una retta, si può costruire una curva rappresentabile su quella retta n-upla con quei dati punti di diramazione. Ma la proprietà analoga non vale per le superficie. La curva di diramazione di un piano n-uplo non può prendersi ad arbitrio, ma è soggetta a certe condizioni, L’ENRIQUES si propone di stabilirle in una Memoria del 1924, e vi riesce: ma la forma del risultato non è tale da consentire la costruzione di tutte le curve che vi soddisfano. La questione è ancora aperta, nonostante le ricerche posteriori che vi sono state dedicate.
Molti altri argomenti sono trattati con varietà di mezzi e ricchezza di risultati nella cinquantina di lavori ove l’ENRIQUES esamina fondamentali problemi di geometria algebrica. Ma il parlarne qui con sufficiente chiarezza esigerebbe un tempo assai lungo e mi costringerebbe a sorvolare sulle altre benemerenze di FEDERIGO ENRIQUES nel campo della cultura. Ricorderò soltanto che egli ha cercato di diffondere la conoscenza della geometria algebrica, a cui ha dedicato tanta parte della sua attività, mediante due trattati. Il primo, in quattro volumi, redatto insieme ad uno dei suoi primi allievi, il CHISINI, studia sotto molteplici aspetti le curve algebriche ( vol. I, vol. II, vol. III, vol. IV). è ricco di notizie storiche e di vedute originali; nuova ed esauriente è, ad esempio, la teoria dei punti singolari delle curve. Il secondo trattato in due volumi contiene lezioni sulla teoria delle superficie algebriche raccolte dal CAMPEDELLI . In questi ultimi anni l’ENRIQUES si accinse ad esporre con maggiore ampiezza la detta teoria per tener conto dei risultati più recenti. Il manoscritto fortunatamente era compiuto quando la morte lo colse, e la stampa ne è oggi curata dai suoi ultimi discepoli, il POMPILJ ed il FRANCHETTA.

Le ricerche di geometria algebrica delle quali abbiamo discorso sinora non rappresentano che una parte della attività dell’ENRIQUES nel campo stesso della matematica. Indagini di natura diversa gli furono suggerite dalla sua professione di insegnante. Qui giova ricordare che i lavori pubblicati durante l’anno di perfezionamento a Roma richiamarono su di lui l’attenzione dei cultori della nostra scienza, tanto che nel gennaio dell’anno successivo (1894) gli fu offerto l’incarico dell’insegnamento di geometria proiettiva a Bologna. Appena iniziato il corso egli si avvide che nei fondamenti di quel ramo di geometria, che pure sotto l’aspetto logico è il più perfetto, sussisteva ancora una lacuna: la dimostrazione che si dava del così detto teorema fondamentale di STAUDT non aveva il rigore che oggi si richiede. Egli riesce subito a superare la difficoltà, e la dimostrazione da lui fornita è così perfetta e così semplice da trovar posto nell’insegnamento del primo anno universitario. La dimostrazione è riportata nel trattato di geometria proiettiva sintetico dell’ENRIQUES, nel quale questo ramo di matematica assume una forma classica che oserei dire definitiva.
La sua attenzione viene così attratta verso l’esame dei principi della geometria. In un corso di conferenze tenute a Bologna nell’anno scolastico 1894-95 egli osserva che, accanto al criterio logico di indipendenza e compatibilità dei postulati, conviene tener conto del criterio psicologico, il quale porta ad indagare le sensazioni ed esperienze che hanno condotto a formulare quei postulati. Donde viene un duplice indirizzo che si realizza nelle ricerche successive dell’ENRIQUES.
Al primo indirizzo appartiene uno scritto del 1898 in cui si stabilisce un gruppo di condizioni atte a permettere la introduzione di coordinate sopra una superficie o varietà a più dimensioni assegnata geometricamente. Vien così colmata una lacuna che si riscontra nella celebre Memoria di RIEMANN sui principi dello geometria, ove l’esistenza delle coordinate è supposta a priori.
In seguito a questo e ad altri lavori sui principi della geometria, FELICE KLEIN, che all’inizio di questo secolo stava organizzando la pubblicazione di una grande Enciclopedia tedesca delle matematiche, volle affidare all’ENRIQUES la redazione dell’articolo sui principi della geometria. Ne è risultata una Monografia ricchissima e altamente pregevole, ove son prese in esame tutte le vedute dei matematici e dei logici sull’argomento, da EUCLIDE fino ai giorni nostri. Questa Monografia sarà sempre consultata con profitto da chiunque voglia formarsi un’idea chiara su tale vastissimo soggetto. Le questioni inerenti ai principi della geometria hanno destato nell’ENRIQUES l’interesse per i problemi dell’insegnamento matematico, e in particolare dell’insegnamento secondario. Egli comprese subito l’importanza di una iniziativa dovuta al KLEIN, il quale fin dal 1894 aveva organizzato a Gottinga dei corsi estivi destinati agli insegnanti secondari, con lo scopo di far vedere a questi quale luce portassero alcune teorie di matematiche superiori sui problemi che erano chiamati a trattare nel loro insegnamento. Ispirandosi ad analoghi motivi l’ENRIQUES ebbe l’idea, già nei primi anni del suo insegnamento bolognese, di pubblicare una serie di monografìe nelle quali vari problemi di geometria elementare venissero illuminati da un punto di vista più alto. Egli che aveva l’attitudine rara di saper trarre dalla collaborazione tutti i vantaggi, evitando gli inconvenienti a cui può dar luogo, scelse tra i suoi primi discepoli e tra i suoi giovani amici un gruppo di studiosi ai quali affidò temi determinati di geometria elementare, e tracciò loro il programma che dovevano svolgere per collegare l’argomento con le ricerche più recenti.
Frutto di questa collaborazione fu un volume intitolato Questioni riguardanti la geometria elementare, comparso nel 1900, volume che ebbe una grande e meritata fortuna, cosicchè si rese necessario ben presto di pubblicare una seconda (prima parte, seconda parte) e poi una terza edizione (parte prima volume primo, parte prima volume secondo, parte seconda, parte terza) dell’opera. Quest’ultima consta di quattro volumi e comprende una revisione dei principi e dei più importanti problemi della geometria e dell’algebra elementare, esaminati col sussidio di teorie elevate. Alcuni articoli sono scritti dallo stesso ENRIQUES, tra gli altri quelli sulla evoluzione delle idee geometriche, sui numeri reali, sullo spazio e tempo davanti alla critica moderna. Si può dire non esservi oggi in Italia professore di scuola secondaria o candidato agli esami di concorso che non abbia meditato su quest’opera, la quale ha esercitato una benefica influenza sull’insegnamento dei nostri licei.
Con lo stesso proposito l’ENRIQUES curò, col concorso di vari collaboratori, la pubblicazione in veste italiana degli Elementi di EUCLIDE (libri I-IV, libri V-IX, libro X, libri XI-XIII), arricchiti di note storiche e critiche. E tra le sue benemerenze a favore dell’insegnamento e della cultura matematica vanno ricordati gli articoli che egli stesso scrisse o promosse intorno a questioni storiche o didattiche, articoli inseriti nel Periodico di Matematiche, di cui tenne la direzione per quasi vent’anni.

Abbiamo già osservato che nell’esame dei principi della geometria l’ENRIQUES associa il problema logico al problema psicologico. Direi anzi che sotto l’aspetto affettivo l’interesse per quest’ultimo problema sia prevalente. Conservo una sua lettera del maggio 1896 in cui Egli parla della passione con la quale si dedica agli studi di psicologia fisiologica. “Per parte mia” riferisco le sue parole “porto nella ricerca un entusiasmo che tu stimerai degno di miglior causa, ma che è certo maggiore di quanto ne abbia mai provato per qualsiasi altra questione”.
Frutto di questi studi proseguiti per alcuni anni è un articolo pubblicato nella “Rivista filosofica” del 1901 e poi sviluppato nel volume Problemi della scienza. Nel detto articolo, vari indirizzi geometrici sono messi in rapporto con le sensazioni provenienti dalla vista e dal tatto, dalle quali essi hanno avuto origine. Per comprendere tale legame, debbo ricordare che l’indirizzo geometrico di maggiore generalità è l’Analysis situ o Topologia, nel quale non sono ancora formati i concetti di retta, di piano, di lunghezza, di angolo, ma si considerano soltanto linee, superficie, corpi a tre dimensioni e si riguardano come equivalenti due enti che possano esser ricondotti l’uno all’altro mediante una trasformazione continua. Dalla topologia vanno poi staccandosi, mediante due diverse particolarizzazioni, la geometria metrica ove sono fondamentali i concetti di distanza e di angolo, e la geometria proiettiva dove non intervengono nozioni metriche ma solo relazioni di posizioni fra punti, rette e piani. Ora la tesi dell’ENRIQUES è che i tre rami suddetti e precisamente la topologia, la geometria metrica e la proiettiva, avuto riguardo all’acquisto psicologico dei loro concetti fondamentali, sono legati a tre diversi ordini di sensazioni, rispettivamente alle sensazioni generali tattili muscolari, a quelle del tatto speciale, e a quelle della vista.

Le vedute psicologiche sui principi della geometria rappresentano soltanto un parziale risultato di profonde meditazioni filosofiche, le quali, iniziate durante gli studi all’Università pisana, si sono alternate lungo tutta la vita con le indagini matematiche e storiche. Dopo quindici anni di lavoro Egli ci dà il primo frutto di quelle meditazioni nel poderoso volume Problemi della scienza pubblicato nel 1906. L’autore vuol richiamare l’attenzione del pubblico colto sul problema filosofico della conoscenza, e si propone di dare una veduta unitaria della scienza atta a combattere l’eccessiva specializzazione, mentre in una prima parte dell’opera si esaminano i procedimenti psicologici e logici con i quali le impressioni dei sensi vengono raccolte, coordinate e trasformate per dar luogo alle teorie scientifiche, nella seconda parte i principi delle varie scienze matematiche, fisiche e biologiche sono sottoposti ad una critica esauriente.
Abbiamo già accennato ad alcune sue idee sui principi della geometria. Aggiungiamo ora che nell’esame dei principi della meccanica, a proposito delle nozioni di tempo, di spazio, di moto, di forza, Egli espone delle vedute che contengono in germe le concezioni sulle quali ALBERTO EINSTEIN, proprio in quegli anni, stava costruendo la sua prima teoria della relatività.
Il pensiero filosofico dell’ENRIQUES si chiarisce e precisa nei saggi che egli va via via pubblicando. Alcuni di questi sono raccolti nel volume intitolato Scienza e razionalismo apparso nel 1912, nel quale le vedute odierne son messe a raffronto con le concezioni filosofiche dei secoli scorsi.
In epoca recente egli ha voluto assoggettare ad un esame critico e storico il problema del determinismo, sul quale lo sviluppo attuale della fisica ha attirato l’attenzione di tutti i pensatori. E’ nato così un volumetto Causalité et déterminisme, pubblicato a Parigi nel 1941, dal quale tolgo e traduco alcuni brani che valgono a chiarire le vedute dell’autore sulla costruzione della scienza.

“Il contenuto delle teorie scientifiche” scrive l’ENRIQUES “consiste nell’insieme delle previsioni sperimentali che esse rendono possibili; ma la scienza considerata nel suo divenire è qualche cosa di più di questo contenuto. Le ipotesi e le teorie hanno un valore euristico che corrisponde alla soddisfazione di certe esigenze razionali.
“Perciò, in contrasto con la tendenza di MACH e della sua scuola, affermo” prosegue l’ENRIQUES “che le ipotesi e le rappresentazioni immaginative ci conducono più in là che la scienza positiva. Vista sotto tale aspetto la spiegazione causale implica qualche cosa di più che la semplice risposta a questa domanda: come si presenta il fenomeno che noi osserviamo? La scienza va oltre tale spiegazione quando essa tenta di render conto del perchè. Quest ‘ultima domanda acquista un senso rispetto ad una rappresentazione immaginativa che lega l’effetto alla causa col mezzo di una continuità di immagini”.
Fin qui l’ENRIQUES. E qualche pagina più in là, a proposito della tendenza dei fisici contemporanei a rinunziare al determinismo che fu la guida dei loro maestri, egli scrive:
“Quel che ci ripugna è di accettare il non-intelligibile; e questa ripugnanza non è che la nostra fede nella intelligibilità delle cose. Eccoci in presenza di un criterio metodologico del tutto generale, .che è il presupposto della scienza che si tratta di creare, cioè della ricerca scientifica.
“Una scienza perfetta dovrebbe spiegare tutti i fenomeni possibili. è questo evidentemente un ideale irraggiungibile, anzi privo di senso. Ma, sia pure per via di astrazione, noi possiamo sforzarci di spiegare certi ordini particolari di fenomeni costituenti un frammento della realtà e di comprenderli in qualche modo col mezzo di una rappresentazione concettuale che costituisca una teoria scientifica adeguata a quella realtà. E prima di verificare la teoria con l’esperienza… noi richiediamo che la teoria sia in se stessa plausibile, che essa soddisfi al principio di ragion sufficiente che è l’aspetto mentale della causalità”.
Ho voluto riportare questi brani del suo ultimo libro perchè venisse posta in luce la posizione filosofica dell’ENRIQUES. Risulta chiaro che egli appartiene a quella scuola del razionalismo sperimentale che ha avuto in GALILEO e NEWTON i fondatori e massimi rappresentanti, che ha guidato il pensiero di molti scienziati dei secoli scorsi, e che oggi stesso si vanta dei grandi nomi di MAX PLANCK e di ALBERTO EINSTEIN.
Per l’ENRIQUES il determinismo non è una questione che possa risolversi con opportune esperienze; il determinismo è un presupposto alla ricerca scientifica e alla costruzione di una scienza che dia una interpretazione intelligibile della natura.

Ho già osservato che gli scritti filosofici dell’ENRIQUES dimostrano, col progredire del tempo, un interesse crescente per la storia del pensiero scientifico. Durante gli anni giovanili, nel fervore della ricerca matematica, il suo sguardo era rivolto all’avvenire e le questioni storiche non fermavano in modo particolare la sua attenzione. Ma a mano a mano che cresce la sua cultura, egli sente la necessità di illuminare ogni veduta scientifica o filosofica alla luce portata dai grandi pensatori dei secoli passati, e di presentare le conquiste attuali come prodotti di una evoluzione di idee maturate attraverso il tempo.
Questa tendenza, già manifesta in alcuni saggi del libro citato Scienza e razionalismo del 1912, informa tutto il contenuto del volume Per la storia della logica pubblicato nel 1922, nel quale si espone come le vedute delle scuole greche e in particolare di ARISTOTELE si siano, nel corso del tempo, trasformate per dar luogo alle concezioni attuali.
Un progetto più grandioso sorge intanto nella sua mente: esporre la storia del pensiero scientifico in un’opera in tre volumi, dei quali il primo destinato al mondo antico e in particolare alla Grecia, il secondo al medioevo, il terzo al rinascimento e all’epoca contemporanea. Il primo volume è uscito nel 1932 in collaborazione col prof. DE SANTILLANA. Ricco di notizie, profondo nella critica e nel tempo stesso lucido e di gradevole lettura, questo volume ha avuto subito un largo successo. Gli autori, come essi stessi dichiarano, non compiono opera di paziente erudizione, nè si dilungano in discussioni di carattere filologico. Di fronte ad un frammento oscuro di qualche filosofo della Grecia, l’ENRIQUES parte dal preconcetto che il pensiero originale doveva esser chiaro e intelligibile, formula una ipotesi sul significato del testo e l’accoglie soltanto quando la tesi proposta si accorda con le conseguenze che i commentatori greci di epoca più recente hanno tratto da quel passo del loro predecessore.
Il successo di quel primo volume ha reso più acerbo il rammarico di non averlo veduto seguire dagli altri due in progetto. Da un lato la difficoltà di interpretare tanti oscuri pensatori del medioevo, d’altro lato gli avvenimenti politici e bellici dell’ultimo decennio, distolsero gli autori dalla prosecuzione dell’opera. Parziale compenso a tale mancanza è il Compendio di storia del pensiero scientifico, pubblicato dagli autori stessi nel 1937 e destinato principalmente a colmare con una veduta d’insieme le lacune che l’insegnamento della filosofia e della storia lascia negli allievi delle nostre scuole secondarie.
Un fine analogo, limitato però allo sviluppo delle matematiche e ai suoi rapporti con le altre discipline, si propone un volume dal titolo Le matematiche nella storia e nella cultura, pubblicato nel 1938, nel quale sono raccolte dal prof. FRAJESE lezioni e conferenze tenute dall’ENRIQUES agli studenti della Facoltà di scienze.
Aggiungo che negli ultimi anni egli aveva compiuto uno studio profondo sul filosofo DEMOCRITO, tentando di ricostruirne l’opera in base agli scarsi frammenti che ci son rimasti. Il manoscritto è fortunatamente compiuto ed ilvolume verrà presto pubblicato per cura del dotto MAZZIOTTI che lo aveva aiutato nella redazione.
Con questo volume, e con l’altro in corso di stampa sulla teoria delle superficie, si chiude la prodigiosa attività di FEDERIGO ENRIQUES. Egli ha coltivato con pari profondità tre indirizzi, la matematica, la filosofia, la storia della scienza, ed ha scritto in ciascuno di essi opere che basterebbero da sole a riempire ed illustrare l’intera vita di uno scienziato.
In Italia egli era noto specialmente per le ricerche geometriche. Le sue vedute filosofiche, discordi da quelle della scuola dominante, non hanno avuto nel nostro paese il consenso e la risonanza che meritavano, ma furono grandemente apprezzate in Francia, dove Egli fu nominato dieci anni fa Socio corrispondente dell’ Acadˆ©mie des Sciences morales et politiques, e in Inghilterra dove, per la sua opera filosofica, ebbe titoli ed onori.

Per chiudere questa commemorazione aggiungerò qualche notizia biografica, sebbene la Sua vita, trascorsa interamente nell’intimità della famiglia e tra gli amici e i discepoli, non offra avvenimenti notevoli.
Nacque FEDERIGO ENRIQUES a Livorno il 5 gennaio 1871, da famiglia benestante. Dalla madre, donna di forte carattere, sempre propensa alle discussioni su argomenti spirituali, Egli portò la vivacità dell’ingegno e lo spirito combattivo che si manifestarono fìn dalla prima giovinezza. La famiglia si trasferì presto a Pisa, dove Egli seguì le scuole secondarie, l’Università e la Scuola Normale Superiore, conseguendo brillantemente la laurea in matematica nell’estate del 1891. Dopo un anno di perfezionamento a Pisa, uno a Roma, e qualche mese trascorso a Torino con CORRADO SEGRE, ebbe, come già dissi, l’incarico di Geometria proiettiva e descrittiva a Bologna, e nel 1896 fu nominato colà professore delle dette materie, in seguito a concorso.
A Bologna iniziò la vita di famiglia sposando la figlia di ACHILLE COEN, valoroso professore di storia dell’Università di Firenze, e con lei ebbe sempre consenso di idee e di affetti.
I ventotto anni trascorsi colà furono forse i più lieti e fecondi della Sua vita. In quella dotta città, dove lo spazio ristretto rende facili e frequenti i contatti tra i professori delle varie Facoltà, Egli trovò l’ambiente più favorevole per lo scambio delle idee e l’incremento della sua cultura. Ho già detto che Egli era un mediocre lettore. Il difetto si attenuò col tempo, ma non sparì mai del tutto. Potrà quindi sorprendere come Egli fosse riuscito a formarsi una così prodigiosa cultura in tutti i campi dello scibile. La verità è che Egli apprendeva molto più attraverso l’udito che attraverso la vista. La conversazione intellettuale era la Sua occupazione preferita; Egli sapeva sfruttare i colleghi delle varie discipline, biologi, giuristi, filologi, per acquistare nuove cognizioni. E quel che riceveva egli elaborava nella Sua mente ed assimilava in un tutto armonico.
A Bologna la sua versatilità era ben nota ed apprezzata e gli amici ne profittavano quando si presentava l’occasione.
Una volta il professore di zoologia di quel tempo si rifiutò, non so per quale ragione, di presiedere la Commissione di esami della sua materia. Ai colleghi, imbarazzati sul modo di sostituirlo, l’ENRIQUES scherzando si offrì di prenderne il posto, pur di disporre di una o due settimane per la preparazione. La Facoltà lo prese in parola. Ed Egli volle interrogare personalmente tutti gli allievi, e rivelò tale sicura competenza e tale equità che gli allievi respinti confessarono a Lui di riconoscere giusta la loro punizione.
Durante il periodo di Bologna Egli fu presidente della Società filosofica italiana dal 1907 al 1913, e in tale qualità Egli organizzò e presiedette il IV Congresso internazionale di Filosofia che si riunì in quella città nel 1911.
Sul principio del 1922 l’ENRIQUES accettò l’offerta che gli veniva dalla Facoltà di Scienze di Roma di coprire una cattedra di matematiche superiori (poi geometria superiore) nella nostra Università. Ma nell’ambiente più vasto della Capitale, dove son rari gli incontri tra colleghi di Facoltà diverse, non trovò quei facili scambi di idee che tanto gli erano cari. Trovò bensì biblioteche più ricche per gli studi storici ai quali principalmente si volgeva la Sua attenzione e maggior numero e varietà di allievi, italiani e stranieri, interessati all’uno o all’altro degli insegnamenti che impartiva. Fondò e presiedette a Roma l’Istituto nazionale per la storia delle scienze, ed organizzò una Scuola per la diffusione di questa disciplina.
Facile ed elegante parlatore, abile dominatore di assemblee, avrebbe potuto partecipare qui alla vita pubblica e portare a vantaggio della cultura nazionale le sue eccezionali doti intellettuali e morali. Ma la Sua venuta a Roma coincise con l’instaurarsi del fascismo, ed Egli, insofferente di ogni vincolo, assetato di libertà, profondamente individualista, avversò fin dal principio le ideologie di quel regime. Lasciò con dolore la cattedra nel 1938, in seguito alle leggi razziali, e trascorse inosservato il periodo della guerra e delle persecuzioni.
Al rifiorire delle pubbliche libertà nel 1944 riprese l’insegnamento, ma l’organismo era ormai stanco ed Egli non sentiva più la forza di assumere posti di combattimento. Una affezione cardiaca, che lo affliggeva da qualche tempo e lo costringeva a saltuari periodi di riposo, non gli aveva tolto la passione della ricerca e dello studio, ma aveva fiaccato lo spirito battagliero e l’interesse per ciò che era estraneo alla vita intellettuale.
Morì improvvisamente nelle prime ore del 14 giugno 1946 e ci lasciò un vuoto incolmabile. Ne furono addolorati i colleghi, gli amici, gli ammiratori che Egli si era conquistato in Italia e all’estero. Ma più amaramente, insieme alla moglie, ai figli, a tutti noi che formavamo parte della sua famiglia, lo piansero gli allievi che lo amavano come un padre. E padre fu veramente per loro. Li accoglieva a tutte le ore nel suo studio, da loro si faceva accompagnare nelle passeggiate mattutine, li incitava e guidava nella ricerca, li educava al senso del dovere nella scienza e nella vita.
Con FEDERIGO ENRIQUES una grande luce si è spenta. Come avviene per i maggiori beni concessi all’uomo, dei quali si apprezza più intensamente il valore quando ci vengon tolti, così la scomparsa dell’ENRIQUES ci fa sentire qual fulgore irradiasse dalla sua persona e qual fermento di vita intellettuale, qual tesoro di sapienza abbiamo oggi perduto con Lui.

GUIDO CASTELNUOVO, 11 gennaio 1947